ISSN 2283-7558

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L'EDITORIALE

DAL PAESAGGIO AL PAESAGGIO

Interrotti dal numero monografico sulla conservazione dei serramenti, che con orgoglio posso dire è stato molto apprezzato tra i lettori, riprendiamo il percorso intrapreso per cercare di comunicare i valori dell’architettura storica e del paesaggio tramite immagini e brevi riflessioni.

FROM LANDSCAPE TO LANDSCAPE

After the success of our past article about the conservation of fixtures, we want to transmit the value of historical building and landscape through images and short reflections.




Interrotti dal numero monografico sulla conservazione dei serramenti, che con orgoglio posso dire è stato molto apprezzato tra i lettori, riprendiamo il percorso intrapreso per cercare di comunicare i valori dell’architettura storica e del paesaggio tramite immagini e brevi riflessioni. Come notato nei numeri scorsi, oggi la comunicazione è sempre più rarefatta e costituita più da immagini che da testi scritti e così alle immagini dell’amico Riccardo Zipoli ci affidiamo per articolare ed estendere questi pensieri.

E’ una sorta di rubrica che va dalla materia dell’architettura al paesaggio edificato, tenendo sempre presente che su tali beni siamo chiamati a intervenire con progetti e cantieri per la loro conservazione.

La volontà è quella di andare oltre alla pura emozione che questi beni trasmettono e far capire sia la sensibilità necessaria per ben intervenire ma anche le difficoltà che incontra chi deve prendere decisioni operative per la loro valorizzazione e conservazione.

 

La tutela oggi

E’ superata la concezione di paesaggio come porzione di territorio limitata e circoscritta da contemplare come un quadro secondo “viste” o scorci, com’era per le “bellezze naturali”, che decenni fa s’immaginavano costanti e immutabili nel tempo. Paesaggio, non solo quindi i giardini storici di ville o palazzi, le viste naturali particolari ma paesaggio, è oggi l’interazione quotidiana tra uomo e natura, dove la trasformazione è insita e presente nella definizione stessa; il progetto non può quindi prescindere dalla conoscenza di tutti questi aspetti complessi, delle loro storie e delle loro criticità.

   

Segni e significati

Per conservare un sito naturale o antropizzato, un borgo rurale, oppure costituito da architetture auliche e monumentali, ma anche una “semplice” e vecchia strada di campagna o qualsiasi “paesaggio culturale”, bisogna saper distinguere anche le tracce e gli aspetti meno evidenti oltre a ciò che le tante storie hanno cancellato, sovrascritto, aggiunto o mascherato.
Per fare questo sono necessarie una preparazione che si fondi sulla conoscenza storico-critica e cultura del restauro architettonico e una progettazione diversa, più sensibile, meno prevaricante, più adatta al contesto e più … conservativa; altrimenti c’è il rinnovo, e i segni ed i significati non vengono riconosciuti, così culture e paesaggi si perdono per sempre come … lacrime nella pioggia.

  

Compatibilità

Oggi quando si parla di progetto sul paesaggio s’intende prevalentemente una riprogettazione, una modifica o comunque una forte trasformazione dei contesti e dei siti, dedicando scarsa attenzione alla lettura delle sue storie antiche e recenti e dei segni anche minori che queste hanno lasciato.
In pratica, ci si concentra sul creare un nuovo paesaggio mentre quello esistente è inteso come sfondo per poter esprimere soluzioni nuove e modificare in termini creativi il contesto; contesto che, logicamente in questi casi, non viene analizzato e letto nella ricchezza e nella molteplicità dei suoi segni.
Tale metodo può trovare giusta applicazione in alcune aree prive di segni e di storie, tipo quelle industriali dismesse, in quei ‘paesaggi’ urbani periferici e sconvolti da capannoni o da villettopoli, negli svincoli e tra le tangenziali, in quelle zone massacrate e violentate dall’abusivismo, ecc.; lì si può parlare di rigenerazione del paesaggio e quindi legittimare, anzi rendere doverosa, la modifica compositiva anche di segno forte.

Ma per i paesaggi storici e naturali, per quei “paesaggi costruiti” che arricchiscono l’Italia, dove le modifiche ci sono state ma solo in modo parziale e limitato, ossia paesaggi che sono costellati di documentazioni e testimonianze di ogni genere, lì dove la trasformazione ha modificato solo in parte ma deve ancora sconvolgere il contesto, l’intervento va calibrato e orientato in base ai valori dell’esistente. In questi contesti bisogna mettere in primo piano la conservazione del paesaggio e in secondo piano la modifica compositiva; il progetto deve quindi partire da una profonda attenzione e rispetto per le stratificazioni di segni che connotano lo stato attuale per orientarsi delicatamente verso la trasformazione compatibile, la sola che produce quella qualità alta che il nostro patrimonio si merita e giustamente pretende.

    

Valorizzazione

E’ interessante approfondire il limite della valorizzazione compatibile del paesaggio sia nei progetti sia nelle realizzazioni; è questo un limite che dipende dalla capacità che ha il progettista di cogliere i segni e i significati stratificati dei contesti. Sono quelli che Turri identificava come “iconemi”, cioè unità elementari di percezione, quadri particolari sui quali costruiamo la nostra immagine, e su cui poi via via si registrano le stratificazioni, che si sedimentano su quel territorio, e i rapporti tra natura e antropizzazione. E’ difficile intervenire con questa particolare sensibilità perché molte volte l’intervento sul paesaggio si completa con il prendere forza delle soluzioni vegetali e si verifica con il variare delle stagioni; il paesaggio non è come un intonaco, che varia solo con la luce ma è sempre uguale, esso muta con i diversi mesi dell’anno e la difficoltà è spesso nel controllare gli interventi di progetto nella loro esito invernale piuttosto che estivo.
Quello della valorizzazione minima e non prevaricante è un modo particolare di accostarsi al “paesaggio culturale” ed è sicuramente minoritario sia nell’università sia nella professione, dove invece dominano gli edificatori del nuovo, coloro che denigrano la sostenibilità e la compatibilità e che negli ultimi decenni hanno invaso i nostri “iconemi” con cappotti sintetici, serramenti di alluminio, rotonde, cartelli pubblicitari e altre volgari soluzioni, coloro per i quali, come sosteneva ironicamente tempo fa Salvatore Settis, “nel nostro paese l’unico modo per valorizzare un paesaggio è quello di lottizzarlo”.

   

Uomo e natura

I paesaggi che ci circondano, pur nella loro infinita diversità e specificità, racchiudono elementi di pura natura e i segni più o meno forti dell’antropizzazione, che sono tutte quelle modifiche, intese come sottrazioni e addizioni, che l’uomo nei secoli ha apportato. Negli ambienti che ci circondano non esistono quasi più paesaggi senza contaminazioni antropologiche e in qualche modo vergini; troppi sono i legami, i rapporti e le relazioni reciproche che l’uomo nelle epoche storiche e recenti ha stabilito con il paesaggio trasformandolo.

Dalle pianure, che manifestano palesi i segni dell’agricoltura e dell’edificazione, alle fasce collinari, che vedono diradare i nuclei edificati e dilatarsi le fasce boscose a vantaggio delle coltivazioni particolari e dell’allevamento, fino a quelle alpine che, più difficilmente antropizzabili, comunque possiedono palesi i segni della presenza dell’uomo quali le strade, le piste da sci, i tralicci della corrente, i sentieri e le mulattiere, i ripetitori, fino ai più esili segni, quali la croce che indica la cima di un monte o il bivacco a cavallo del valico tra le rocce: tutto il paesaggio che ci circonda è un’inscindibile commistione tra uomo e natura. Perfino il mare, apparentemente incontaminato dai segni dell’uomo, dove l’orizzonte a 360 gradi consente apparentemente di percepire l’integrità assoluta di quel paesaggio, possiede in realtà fortissime presenze antropiche, perché l’acqua è spesso costellata da resti galleggianti della nostra ‘civiltà’ fari e radiofari ci fanno capire dove siamo e le rotte commerciali che lo solcano sono come strade altrettanto visibili.

Ogni paesaggio non è mai quindi solo natura ma è una commistione di vite stratificate nel tempo sulla natura, che l’ha segnato più o meno compatibilmente, ed è in questi paesaggi che ci riconosciamo, che troviamo i nostri riferimenti storici e culturali, siano essi positivi o negativi, siano compatibili e gradevoli o dirompenti e in dissonanza nel paesaggio come oggetti estranei. E’ tra questi segni che si fondono e che costituiscono un tutt’uno con il paesaggio che noi operiamo e progettiamo.

 

Cesare Feiffer