ISSN 2283-7558

Condividi su

articolo

L'EDITORIALE

UNA CHIESA NON È UNA PALESTRA

La Chiesa di S. Gennaro è un luogo consacrato e non è superfluo sottolineare che l’edificio Chiesa non è una palestra, un cinema o una discoteca dove altre comunità si riuniscono per finalità comunitarie. Restaurare questi edifici richiede la conoscenza e il rispetto di quei riti, di quelle simbologie e di quelle particolari funzioni che vi si svolgono.
Il progetto di Calatrava sembra ignorare totalmente questi aspetti e concepire la Chiesa solo come uno spazio da valorizzare a fini turistici e commerciali indipendentemente dalla sua sacralità e dalle funzioni per le quali è stata costruita ed è tutt’ora destinata.

A CHURCH ISN'T A GYM!

S. Gennario Church is a consecrated building and so its use can not be adjusted as a gym, cinema or a club where the main purpose is to make a community. 

To restore these buildings  (the same approach it would have been if these buildings were Mosque, or Buddhist temples etc.) it is mandatory to have the knowledge and the respect for those cults.  For this reason it should be important to link the furniture and the decor of the space with the spirit and the philosophy of that Religion.
Calatrava's project seems to fully ignore those aspects. It seems he perceives the church only as a place for commercial and touristic purposes, not taking into account in this way, the real reason the building was built for. 




Un paio di numeri fa, su questa rivista abbiamo stimolato con convinzione la riflessione sull’intervento dell’architetto Santiago Calatrava nella Chiesa di San Gennaro a Boscoreale di Capodimonte (Na). Penso anche sia stata una scelta positiva quella di coinvolgere su questo tema le scuole di specializzazione sia per chi si sta formando in restauro sia per i loro docenti. Sono arrivate decine di contributi e tutti di spessore, colti, sensibili e, forse ciò che più conta, scritti con il cuore, sentendo profondamente il tema di quell’intervento gratuito e invasivo su un monumento barocco.
Con la consueta ironia, Marco Ermentini l’ha definito un intervento da Jack lo squartatore ma di questo si è detto e in molti hanno approfondito la riflessione sulla compatibilità tra l’architettura storica intesa come patrimonio culturale e il gratuito rinnovo creativo che da secoli ricorre nel nostro mondo di restauratori. Vorrei ancora tornare sul tema andando però oltre i confini della secolare diatriba e sottolineare invece un problema diverso, non facile, e con il quale quel “restauro” si scontra violentemente dimostrando di ignorare ogni aspetto anche in quel campo.
La Chiesa di S. Gennaro è un edificio consacrato, è stato realizzato per accogliere una comunità religiosa che si riunisce per celebrare funzioni e per pregare secondo il rito della religione Cristiana Cattolica. Non è superfluo sottolineare che l’edificio Chiesa non è una palestra, un cinema o una discoteca, dove altre comunità si riuniscono per finalità comunitarie. Restaurare questi edifici, allo stesso modo se si trattasse di un tempio buddista o di una moschea islamica, richiede la conoscenza e il rispetto di quei riti, di quelle simbologie e di quelle particolari funzioni che vi si svolgono; e in questo senso non è secondario collegare il decoro e gli arredi allo spirito e alla filosofia di quella Religione.
In queste singolari e particolarissime architetture l’edificio non può essere considerato solo come involucro, come una semplice opera muraria da valorizzare per fini turistici, come una quinta teatrale o una superficie da decorare indipendente da ciò che lo spazio contiene. Per rispettare anche la funzione religiosa che vi si svolge è necessario conoscerne la cultura, le abitudini, le convenzioni oltre che naturalmente il rito. Questa “architettura per la liturgia”, come la definisce Monsignor Santi, mantiene sì i caratteri di quell’architettura ma possiede finalità assai particolari, che non possono essere alterate o stravolte pena la perdita dell’identità spirituale del luogo.
Questa Chiesa ha un orientamento est-ovest con significati profondi che si perdono nei millenni, ha spazi che da secoli la connotano simbolicamente assumendo anche valenze artistiche quali l’altare, l’ambone, il battistero e il fonte battesimale; ci sono inoltre i luoghi della penitenza, quello della custodia eucaristica e della sede del presidente, gli spazi fortemente connotati quali l’aula per l’assemblea dei fedeli, il coro, l’organo e quelli per la collocazione delle immagini, ecc.
Un progetto di restauro che avesse voluto essere sensibile e attento alla forte spiritualità del luogo avrebbe dovuto porre in prima istanza il rapporto tra l’assemblea dei fedeli, per i quali l’architettura è stata edificata, e il Soggetto divino a cui è riferita invece di far prevalere su questo elementi decorativi floreali, cromie sconcertanti o illuminazioni da piano bar. Ancora, oltre alla conoscenza e al rispetto per i luoghi simbolici sopra citati in un intervento su una Chiesa, tanto più se antica, e ancor meglio se fortemente radicata alla tradizione locale (S. Gennaro a Napoli mi pare non sia proprio sconosciuto…), sarebbe doveroso chiedersi come dovrebbero essere celebrati oltre che la messa, anche gli altri Sacramenti, quali il battesimo, la confermazione, la penitenza, l’unzione degli infermi, l’ordinazione, il matrimonio e i sacramentali (esequie, liturgia delle ore, benedizioni ecc.), con il margine di interpretazione che la prassi pastorale può esigere in ogni realtà.

Il progetto di Calatrava sembra ignorare totalmente questi aspetti e concepire la Chiesa solo come uno spazio da valorizzare a fini turistici e commerciali indipendentemente dalla sua sacralità e dalle funzioni per le quali è stata costruita ed a cui è tutt’ora destinata.
Ci sono i simboli della Croce nelle nicchie sopra agli altari laterali ma dominano decorazioni di ramaglie dai colori sgargianti che balzano in primo piano; la spazialità unitaria dell’edificio Chiesa si perde in una serie di macchie colorate di pareti, finestre, volta, vetrate che dominano sul volume architettonico; l’altare maggiore è in secondo piano rispetto alle porticine vetrate, che con i loro pannelli multicolor s’impongono nella percezione della zona absidale; gli altari laterali sono addirittura in terzo piano perché sull’asse verticale dominano i finestroni con i vetri blu, più sotto le nicchie illuminate con le ramaglie gialle e sotto, al buio, l’altare. I tabernacoli infine sono illuminati da dentro, hanno porticine in vetro colorato (il che fa sorgere la domanda dove siano finite quelle originali settecentesche) che con i colori giallo e rosso fanno un po’ l’effetto semaforo.
L’ordine architettonico poi, ma questo è un tema squisitamente storico-architettonico che c’entra relativamente con il luogo della celebrazione, caratterizza lo spazio con la sua verticalità cioè con le basi, le paraste e i capitelli posti in verticale e raccordati in sommità dalla trabeazione che li corona. Questo modulo, questo linguaggio stilistico è spezzato in orizzontale da fasce color blu che ne demoliscono il moto ascensionale.
Il tutto fa pensare che l’architetto non si sia curato di capire i significati profondi di quell’antica Chiesa barocca e la decorazione applicata sulle superfici, sulle vetrate delle porte, gli stessi dettagli e l’arredo, al di là di facili similitudini e di paragoni ironici, ha comunque assai poco a che vedere con la sacralità del luogo, anzi lo nega e lo ostacola.
Nel lontano 1993 la Conferenza Episcopale Italiana Ufficio Liturgico Nazionale ha pubblicato una nota chiarissima sulla progettazione di nuove Chiese che è un riferimento molto importante per chi opera nel settore e valido anche per l’intervento di restauro sulle stesse. In questa nota vengono puntualizzati tutti gli aspetti metodologici, funzionali e tecnici che connotano lo spazio del Sacro, appunto per distinguerlo dalla progettazione di altri spazi, appunto per evitare che deviazioni formalistiche privilegino l’aspetto scenografico rispetto a quello dei contenuti religiosi.
Mi chiedo quindi: avrebbe avuto Calatrava lo stesso coraggio o incoscienza a ridecorare in tal modo la Moschea Bianca di Abu Dhabi o la Sinagoga Scuola Italiana di Venezia, che sono entrambe con decorazioni chiare come lo era la Chiesa di S. Gennaro? Penso sicuramente di no, perché il mondo di fede islamica o ebraica è più attento a coniugare compatibilmente gli interventi su uno spazio legato alla preghiera.
Proviamo ad immaginare gli effetti che avrebbe potuto avere una tale ridecorazione, che investe tutti i simboli liturgici non solo le pareti, se fosse stata applicata a una Chiesa Cristiana Ortodossa o Protestante; come l’avrebbe giudicata l’assemblea dei fedeli che si ritrovano in quello spazio da generazioni o dai loro responsabili celebranti?
Perché una Chiesa Cristiana Cattolica può essere così profondamente modificata negli spazi, nei simboli e nei luoghi senza che nessuno alzi la testa? Forse perché i Cattolici, come diceva nei Promessi Sposi Alessandro Manzoni, sono “uomini siam in generale fatti così: ci rivoltiamo sdegnati e furiosi contro i mali mezzani, e ci curviamo in silenzio sotto gli estremi; sopportiamo, non rassegnati, ma stupidi, il colmo di ciò che da principio avevamo chiamato insopportabile.”

Cesare Feiffer