ISSN 2283-7558

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L'EDITORIALE

Le rinnovabili, le Soprintendenze

e il silenzio imbarazzante del Ministro della Cultura

Il ministro Cingolani ai primi di settembre ha accusato le Soprintendenze di bloccare lo sviluppo delle rinnovabili in nome della tutela del paesaggio.
La conservazione del paesaggio culturale rappresenta un interesse prevalente rispetto a qualunque altro interesse, pubblico o privato; i
n questo modo sono state screditate le istituzioni più importanti che dal dopoguerra hanno retto la tutela in Italia. L’obiettivo è forse di farle scomparire perché si oppongono a una travisata idea di “progresso”. Ma non è così.

RENEWABLES, SUPERINTENDENTS

AND THE UNCOMFORTABLE SILENCE OF THE MINISTRY OF CULTURE

In the first half of September, the minister Cingolani accused the Superintendents of blocking the growth of renewables in order to preserve the environmental heritage. 

The preservation of these historical heritages should be stronger than other public or private interests.
The goal is to abolish these institutions to persist with the idea of “progress”.




E’ grave la dichiarazione del ministro Cingolani dei primi di settembre quando ha accusato le Soprintendenze di bloccare lo sviluppo delle rinnovabili in nome della tutela del paesaggio. Più precisamente, nel corso di un’intervista su Radio 24, ha affermato “C’è una quantità enorme di potenza energetica di impianti nuovi bloccata, perché ci sono le Soprintendenze che bloccano l’autorizzazione per una questione paesaggistica. Io capisco l’importanza del paesaggio, trovo stucchevole dire che il paesaggio va in Costituzione, siamo in emergenza. Bisogna capire qual è la priorità”.

Non è stata la prima volta, già il 14 ottobre 2021 in audizione alle Commissioni Ambiente di Camera e Senato aveva detto: “Abbiamo 3 gigawatt di impianti di rinnovabili fermi, anche se hanno la Valutazione di impatto ambientale favorevole, bloccati dalle Soprintendenze (del Ministero della Cultura, n.d.r.) per l’impatto paesaggistico.

Ho chiesto di portare questi progetti in Consiglio dei ministri, per farli passare coi poteri sostitutivi del governo. Ma spero che non si dovrà fare questo per i cinque anni del Pnrr”.

 

Il fatto è molto grave per tanti motivi.

 

In primo luogo perché il Ministro della Cultura doveva rispondere il giorno stesso e prendere pubblicamente le difese delle Soprintendenze! Un Ministro del governo del quale fai parte scredita le istituzioni più importanti, cioè quelle che hanno retto e reggono la tutela in Italia dal dopoguerra, e tu non intervieni?

Allora significa che condividi l’accusa, vuol dire che anche tu ritieni siano un freno burocratico allo sviluppo. In questo il Ministro Franceschini non è nuovo perché già nel 2015, in occasione della polemica relativa al vagone posto di fronte a Palazzo Madama in piazza Castello a Torino, aveva ribaltato le condizioni poste dalla locale Soprintendenza per l’esposizione definendole come una “una valutazione burocratica”.

E’ da sperare che il nuovo Ministro della Cultura difenda da simili gratuiti attacchi le sue istituzioni e si prenda a cuore il problema della compatibilità tra tutela del paesaggio culturale ed energie rinnovabili. Il problema va affrontato fornendo linee di indirizzo politiche e, tramite lo staff tecnico del ministero, quelle culturali e operative. Ciò significa mettere nelle condizioni i professionisti che progettano e le Soprintendenze che controllano di agire non solo in base all’interpretazione soggettiva del Codice dei Beni Culturali ma sulla base di indicazioni concrete, chiare e omogenee in tutto il Paese

 

In secondo luogo è grave nel merito. Non si chiede a un ministro della Transizione ecologica di possedere cultura, conoscenza e sensibilità nei confronti del patrimonio culturale ma forse questi avrà sentito dire che il nostro Paese è noto nel mondo perché non è fatto solo da qualche sito archeologico, da alcuni monumenti qui e lì, o da chiese con apparati artistici, ma è costituito anche e soprattutto da centri storici, ville, borghi e un patrimonio diffuso di architetture non monumentali e di edilizia minore che fa un tutt’uno con il paesaggio culturale plasmato dall’uomo nei secoli. Avrà forse sentito dire che questo paesaggio non è più limitato ai parchi o ai giardini com’era nella visione circoscritta e restrittiva del secolo scorso ma va oltre al concetto di “bellezza naturale” (L. 1497/39) ed è “… un “bene ‘primario’ e ‘assoluto’, in quanto abbraccia l’insieme ‘dei valori inerenti il territorio’ concernenti l’ambiente, l’eco-sistema e i beni culturali che devono essere tutelati nel loro complesso, e non solamente nei singoli elementi che la compongono. Il paesaggio rappresenta un interesse prevalente rispetto a qualunque altro interesse, pubblico o privato, e, quindi, deve essere anteposto alle esigenze urbanistico-edilizie… per assicurare la conservazione di quei valori che fondano l’identità stessa della nazione” (sentenza del Consiglio di Stato del 2014 riportata da Tomaso Montanari ne Il Fatto Quotidiano del 13 settembre 22) e questi beni vanno tutelati.

Percorrendo l’Italia il Ministro avrà anche ammirato i risultati del progresso che ci ha portato migliaia di ettari di aree industriali e artigianali, di centri commerciali e di periferie urbane, di autostrade con relativi svincoli e parcheggi. Non si vogliono demonizzare, non è mia intenzione, ma facendo due più due si dovrebbero indirizzare gli interventi delle tecnologie rinnovabili prima nelle aree già compromesse e poi, successivamente, nel caso queste superfici non siano sufficienti, il che è tutto da dimostrare, valutare la loro estensione nelle zone delicate di vincolo paesaggistico nei borghi storici, sulle ville, lungo i laghi, i fiumi, i colli o sui tetti degli edifici del centro storico.

 

Il terzo motivo è stato magistralmente sintetizzato da Tomaso Montanari nel citato articolo comparso su Il Fatto Quotidiano del 13 settembre 2022: “Ma non è questo il peggio. Il peggio è la visione barbarica della Repubblica e del suo funzionamento: le Soprintendenze vengono presentate come un nemico politico che arbitrariamente boicotta la transizione ecologica. Cingolani non è certo il primo a pensarla così: la convergenza politica sul progetto di eliminare l’articolazione concreta della “tutela” imposta dal secondo comma dell’articolo 9 fu plasticamente chiarita agli italiani durante la puntata di Porta a Porta del 16 novembre 2016. Qua, in perfetto accordo con Matteo Salvini, l’allora ministra per le Riforme istituzionali, Maria Elena Boschi, candidamente ammise: “Io sono d’accordo: diminuiamo le Soprintendenze, lo sta facendo il ministro Franceschini. Aboliamole, d’accordo”.

 

In conclusione, riporto alcune considerazioni avanzate da me qualche anno fa e che purtroppo ritengo più che mai attuali (recuperoeconservazione120, febbraio 2015). “Ma chi è all’origine di tutti questi mali? Chi è l’istituzione che secondo costoro arbitrariamente vincola, blocca e immobilizza il patrimonio architettonico e il paesaggio trascinandoli nell’abisso? Chi contrasta la valorizzazione, il lavoro e quindi l’economia?

Naturalmente sono le Soprintendenze!

Sono le Soprintendenze che immobilizzano il patrimonio storico, che bloccano le iniziative imprenditoriali, che impongono progettazioni castigate e che sono contro lo sviluppo e la storia. Secondo questo sentire diffuso sono le Soprintendenze che arbitrariamente richiedono compatibilità tra il vecchio e il nuovo uso degli edifici, oppure che pretendono inutili attenzioni progettuali in fase di analisi e sintesi oppure ancora pongono limiti stretti alle modifiche formali e volumetriche. Tutto ciò non viene digerito ma inteso come un’arbitraria interferenza nella sfera del privato, come un’insopportabile intromissione.

Ne consegue che le bocciature non sono quasi mai capite e vengono criticate, contrapponendo motivazioni che nulla hanno a che vedere con il restauro e accusando queste Istituzioni di ottuso integralismo, di non essere al passo con i tempi e di moltiplicare la burocrazia, mentre non si capiscono il senso e i nessi diretti con la tutela del patrimonio. Non c’è un minimo di autocritica, ossia non si cerca di capire perché la cultura ha maturato un concetto di conservazione di questo patrimonio che è condiviso in tutto il mondo, non ci si chiede quali siano le ragioni della Tutela, le sue particolari metodologie operative, le modalità di rappresentare i progetti, ecc.

Certo, le Soprintendenze hanno i loro difetti, sono fatte di professionisti che possono a volte sbagliare e essere più o meno preparati, più o meno veloci nell’istruire le pratiche e più o meno aperti nel concepire proposte e soluzioni. Ancora, soprattutto nel caso dei funzionari architetti, che sono la spina dorsale perché hanno la responsabilità di autorizzare o negare progetti, il concetto di tutela è coniugato, come in tutti noi, in modo personale, filtrato dal proprio sapere e dalla propria esperienza pur nell’ambito della cultura italiana del restauro e della normativa che la regola. Quindi possono esserci delle sfaccettature diverse in ciascuno di loro, e anche una non omogeneità di valutazioni, ma fanno parte della singola interpretazione che ognuno dà della realtà.

Però, si deve anche riconoscere alle Soprintendenze la tutela del paesaggio e dei beni architettonici in Italia, si deve dare merito alle Soprintendenze e a quel risicato numero di funzionari di aver bloccato speculazioni, scempi e devastazioni di monumenti che per decenni si sono infranti sulle loro dighe. Non è facile far capire al mondo degli operatori privati e della politica che i valori della permanenza dei beni storici e del loro sviluppo compatibile e non prevaricante necessitano anche a volte di scelte scomode e impopolari.

Certo, si poteva fare di meglio e senz’altro si poteva fare di più. Però, proviamo a immaginare: come sarebbe stata l’Italia se non ci fossero state le Soprintendenze? Che paesaggi, che monumenti, che centri storici avremmo ora? Sicuramente villette, condomini e capannoni sarebbero arrivate al Colosseo e in Piazza San Marco, la maggior parte dei monumenti avrebbe conservato sì e no qualche elemento di facciata dando spazio a vasti centri commerciali, a condomini in ferro e vetro, le pale eoliche sarebbero già distese lungo tutta la costa dello Stivale per non parlare della creatività e della libera composizione architettonica che si sarebbe espressa al meglio, creando forme meravigliose, come quelle che caratterizzano tutte le periferie delle nostre città, ma cancellando storie e materie che hanno segnato il nostro Paese in migliaia di anni. Che strutture avremmo oggi? Splendidi solai in c.a. o elementi metallici a vista che reggono facciate senza più architettura sul retro, oppure reticoli di impianti tecnologici con qualche setto murario o pavimento storico appeso come un quadro, il resto si può immaginare.”
 

Cesare Feiffer