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Auto-lettera al Direttore
Questa auto-lettera al Direttore esprime il proprio consenso ai contenuti del suo ultimo editoriale riguardo alla tutela del paesaggio. Sottolinea che le Soprintendenze, spesso accusate di immobilismo a causa della mancanza di tecnici, sono fondamentali per preservare i valori culturali e storici del territorio italiano, ricco di paesaggi e architetture che raccontano storie millenarie. Pur riconoscendone il ruolo, l'autore rileva la lentezza burocratica che caratterizza molti di questi Uffici e propone un sistema in cui ogni nulla osta abbia un costo, suggerendo che questo potrebbe portare a una gestione più efficiente e a un miglioramento delle risorse disponibili per le Soprintendenze.
SELF-LETTER TO THE EDITOR
This letter to the editor expresses his consent to the contents of his latest editorial regarding the protection of the landscape. He underlines that the Superintendencies, often accused of inaction due to the lack of technicians, are fundamental to preserving the cultural and historical values of the Italian territory, rich in landscapes and architecture that tell millenary stories. While recognizing their role, the author notes the bureaucratic slowness that characterizes many of these offices and proposes a system in which each authorization has a cost, suggesting that this could lead to more efficient management and an improvement in the resources available to the Superintendencies.

Caro Direttore,
come uomo di cultura ho apprezzato molto il suo ultimo editoriale nel quale ribadisce con forza che la tutela del paesaggio dovrebbe rimanere nella responsabilità delle Soprintendenze fino a quando i piani paesaggistici redatti in ogni regione entreranno in vigore; quelle stesse Soprintendenze che anche per questo sono spesso tacciate di immobilismo burocratico. Come lei ha giustamente sottolineato “non siamo in luoghi incontaminati, da dove sembra provengano quei Ministri, con un territorio che è tutto da costruire e dove i valori del paesaggio sono dati da qualche canguro o qualche pecora o quelli della storia sono costituiti al massimo da un villaggio di minatori del secolo scorso. Siamo in quel paese che il mondo ci invidia e che da secoli in centinaia di milioni viene a visitare, perché ha paesaggi culturali che trasudano storie stratificate, valori monumentali, architettonici e materiali seminati in ogni città, borgo o cascina, che non chiedono meno burocrazia ma solo di essere conservati.
Le Soprintendenze sono lì per questo e la burocrazia è un’altra cosa.”
Sono considerazioni corrette sotto il profilo dell’evoluzione che ha subito il concetto di tutela e sono pertinenti, perché il restauro architettonico e il restauro del paesaggio sono scale diverse di una stessa progettazione architettonica, non sono recinti separati differenti, dove la prima è competenza degli architetti e la seconda degli urbanisti. E’ un tema complesso da governare con norme e progetti, lo sanno tutti, ma il restauro del paesaggio non può essere esclusiva competenza di chi il restauro non sa cos’è.
Condivido l'articolo perché architettura e paesaggio sono entrambi beni culturali in quanto sono il nostro passato, la nostra bellezza, e si affrontano con lo stesso metodo: elaborando studi storici, analisi materiche, rilievi critici, esami attenti dello stato di conservazione, e progetti che hanno il fine di arrivare a soluzioni rispettose e compatibili.
Come professionista che opera nel restauro architettonico e del paesaggio in tutto il nostro bellissimo Paese le confesso però che, pur riconoscendo quanto sopra, resto spesso costernato da due aspetti che caratterizzano molte Soprintendenze: la lentezza nell’evasione delle pratiche per le quali bisogna attendere mesi (che nel mondo del lavoro sono costi importanti) e la mancanza di una coerenza e di una linea condivisa tra Soprintendenze di varie regioni, e spesso anche all’interno della stessa Soprintendenza.
Quanto al primo punto, ossia i tempi lunghi, che facilmente può essere interpretato con il termine dispregiativo di “burocrazia” mi permetto, essendo un fedele lettore, di riportare quanto da lei pubblicato esattamente 25 anni fa nel n. 35 di Recupero e Conservazione, quando la rivista era ancora cartacea (sic.), che potrebbe suggerire un rimedio a qualcuno per la cronica carenza di mezzi e operatori.
E’ stata attuata l’autonomia dei musei? E perché non sarebbe possibile attuare quella delle Soprintendenze! Rimanendo sempre istituzione statale s’intende e non regionale, perché sarebbe facilmente manipolabile da un qualsiasi Cetto Laqualunque, che non scarseggia in ogni angolo del Paese.
In questo caso “…allora perché non finanziamo le Soprintendenze?
Una concessione edilizia è molto onerosa, un parere dei Vigili del Fuoco è costoso, la Sicurezza è un costo ormai entrato nel budget di un intervento, quindi perché non pagare un nulla osta rilasciato dalla Soprintendenza?
Se ogni nulla osta fosse oneroso i vantaggi sarebbero immediati e di due ordini: da un lato si ridurrebbe il numero di progetti presentati con il loro strascico di varianti e variatine (perché le presentazioni sarebbero più attente e i progetti più precisi, più meditati e verificati); dall’altro, le entrate consentirebbero la gestione di somme consistenti finalizzate alla riorganizzazione e modernizzazione interna dell’Ufficio.
Qualche numero per essere più chiaro…” se i protocolli fossero circa 20.000 e una autorizzazione costasse 2.000 euro una soprintendenza incasserebbe 40.000.000 annui “… da gestire localmente per la riorganizzazione interna del personale (non per gli interventi diretti sugli edifici), delle tecnologie e delle dotazioni (…) nuove assunzioni di personale tecnico o amministrativo, l’ideazione e la messa a regime di nuove figure professionali, tecnologie, spazi, ecc.; consentirebbe di coprire meglio gli edifici vincolati esistenti ma soprattutto di vincolarne di nuovi, auto, computer, disegnatori, monitoraggio continuo del territorio, ecc.
Con un’organizzazione del genere cambierebbe radicalmente il rapporto tra Soprintendenza e mondo professionale, perché essa non sarebbe più vista come l’Istituzione che blocca i tempi delle operazioni edilizie, che spesso è fuori dalla realtà, che immobilizza il territorio e che non considera i costi e le necessità del progetto ma potrebbe diventare al contrario quasi uno “sportello”, un centro di orientamento, al servizio dei tecnici, aiutandoli a conservare e operare nelle direzioni che la Soprintendenza stabilisce.”
(…) “In cambio le Soprintendenze dovrebbero avere (…) efficienza, rapidità, professionalità, imprenditorialità e precisione. In pratica un nulla osta dovrebbe arrivare (positivo o negativo) entro 15 giorni dalla presentazione, una richiesta di sopralluogo entro 4 giorni dalla telefonata, una richiesta di vincolo entro 10 giorni dalla domanda, una qualsiasi altra pratica non più di due settimane.” (cfr. Recupero e Conservazione n. 35 agosto-settembre 2000)
Riguardo al secondo problema, ossia la soggettività delle interpretazioni della tutela, è ovvio che ognuno di noi ha una cultura, una formazione e un’esperienza professionale che lo portano a valutare in modo soggettivo scelte e decisioni, ciò è scontato e inevitabile. Segnalo però che da decenni mancano luoghi e forme del dibattito sulla cultura del restauro, e di questo tutti gli operatori pubblici e privati ne soffrono e ne sentono la mancanza.
Ricordo che qualche decennio fa erano costanti e intense le giornate di studio, i convegni e soprattutto le riunioni tra soprintendenti, docenti di restauro architettonico, professionisti studiosi del settore. C’era uno scambio culturale ricco e proficuo, nel quale s’incrociavano opinioni diverse, scuole di pensiero che avevano una diretta e visibile ricaduta nella prassi, cioè nel progetto di restauro.
Ora il silenzio culturale che avvolge oggi il settore è dovuto a tante ragioni, quali la mancanza di figure emergenti, teoriche e professionali, il livello progressivamente decrescente della didattica del restauro, il polverizzarsi del progetto, proprio quello di restauro distrutto dalla recente normativa che ha frantumato la sua unitarietà. Ricordo a questo proposito che nell’appalto integrato il PFTE è affidato, generalmente per conoscenza, a un professionista, il progetto esecutivo all’impresa appaltatrice, con perdita di qualità immaginabile, e la direzione lavori ad altri professionisti esterni o interni alla stazione appaltante. Questa prassi demenziale, voluta dai costruttori e passata con il silenzio degli ordini professionali, che avrebbero dovuto tutelare il progetto nella sua integrità e invece l’hanno affossato, ha letteralmente devastato il progetto di restauro in tutti i suoi aspetti: nel metodo che logicamente cambia, nei contenuti che variano, nelle gerarchie dei valori e nell’operatività del cantiere, ma qui mi fermo perché vado troppo in là.
Se, consci di questa carenza, si avviassero una serie sistematica e continua di eventi legati alla (ri)formzione di chi è coinvolto nel grande circo del restauro (professionisti del pubblico e del privato) si otterrebbero diversi obiettivi: da un lato il MIC tornerebbe centrale come traino culturale, si fornirebbero ai vari funzionari architetti casistiche di qualità elevata, metodi, esperienze, casi, soluzioni, scelte.
Badi, Direttore, intendo giornate di studi di spessore, con qualità ma soprattutto legate da un programma consequenziale di ampio respiro che coniughi teoria e pratica professionale (di progettisti e controllori) che sarebbe altra cosa dagli aggiornamenti professionali che ogni Ordine professionale sforna e che vanno come si usa dire ‘di palo in frasca’. Ma anche qui mi fermo, perché sottrarre il giochino della formazione agli Ordini, attività della quale si sono auto incaricati da qualche decennio e dove non hanno competenza alcuna, può essere pericoloso.
APPROFONDIMENTO >
Riguardo al tema della tutela del paesaggio le sottopongo, caro Direttore, un recente intervento realizzato tra le dolci colline dell’Umbria nel sito dove sorge il Castello di Antognolla e il borgo medievale che lo avvolge .
Il caso è emblematico di come potranno diventare le coste italiane i litorali dei fiumi e tutti i paesaggi sensibili attualmente in vincolo paesaggistico se il parere delle Soprintendenze diventasse “consultivo e non vincolante” o se passasse direttamente alle regioni prima che i piani paesaggistici entrino in vigore.
Cito una parte di un bel saggio di Primo Tenca apparso su “Paesaggi Magazine” quando descrive l’intervento realizzato nelle “…nostre meravigliose città, paesi abbazie, ville e castelli che nel solo contado perugino sono circa 200.
Il tutto incastonato in una natura dalle morbide colline di una dolcezza infinita […]
Un mondo che aveva retto a otto secoli di storia era scomparso, almeno nella memoria che ne avevamo. […]
Tutti gli interventi previsti ammontano ad una superficie complessiva di circa 50000 metri quadri così distribuiti:
1) restauro e risanamento del castello ove verranno realizzate 31 camere, il New Borgo, come viene chiamato, ora in costruzione, né conterà altre76.
2) centro servizi polivalente, centro benessere, centro congressi.
3) edificazione di 4 nuovi borghi con circa 70 ville non a destinazione alberghiera, si presume vengano affittate o vendute, una colossale speculazione per fare la giunta al buon peso.
4) costruzione di una Golf Club House, campi da tennis e badminton, più altre infrastrutture dedicate ai servizi.
Parliamo di una superficie enorme, in parte già consolidata, altra da restaurare, ma gran parte da costruire ex novo.
Si tratta di un vero assalto al territorio, ma per rendere il tutto più accettabile si usa una parolina magica, che apre ogni porta: valorizzazione!”. [fonte: https://passaggimagazine.it/antognolla-un-ecomostro-accanto-al-castello/ ]
Valorizzazione e semplificazione, questi termini oggi mascherano la possibile devastazione del paesaggio e del patrimonio architettonico se non si attua una rigorosa tutela che può essere solo dello Stato.
Cordialmente,
un suo fedele lettore